Il G.S.A. Ruspanti muove i primi passi o, meglio, tira i primi calci ad un pallone da calcio attorno agli anni ‘70, in un terreno sito sul retro dello stabilimento tipografico Abete (attuale Ponti Group), alla Zona Industriale Nord di Città di Castello. Alcuni dipendenti ottengono dalla Dirigenza l’accesso a questo campetto e il suo utilizzo per “sgranchirsi” le gambe giocando a calcio il sabato pomeriggio.

Era certamente un eufemismo chiamare campo da calcio quel piccolo rettangolo di terra con quattro pali e due traverse (con misure non regolamentari), pieno d’erba “sterpognola”, cioè quell’ erba che cresce spontanea e invade i campi adiacenti le rive del Tevere, e con due infossature che percorrevano il campo per tutta la sua lunghezza.

Se si pensa che i campi da calcio più importanti (ed unici) di quel periodo, il mitico Comunale  (l’attuale Bernicchi) e lo storico S. Pio X (sfortunatamente riconvertito a giardini pubblici), erano in terra battuta ed al primo acquazzone diventavano una fanghiglia, giocare da “Abete”, in un campo tutto erba, con le due infossature che fungevano da scolo per l’acqua piovana, era come giocare al Maracanà di Rio de Janeiro.

I partecipanti alla partita settimanale del sabato pomeriggio sono ragazzi di varie età ed estrazione sociale (commercianti, impiegati, imprenditori, insegnanti, liberi professionisti, operai, studenti), ma tutti con un’unica passione: correre dietro ad un pallone, divertirsi con gli amici di sempre e, perché no, “sfottersi” per un tunnel o un dribbling. Che “momenti”, che “battaglie”, che discussioni interminabili per un fallo laterale o una punizione non concessa !

Le squadre sono ogni sabato diverse, in quanto viene fatto il “conto” tra due addetti. A chi “tocca”, sceglie per primo un giocatore e così via, formando ognuno la “propria” squadra, partendo dai difensori, proseguendo con i centrocampisti e concludendo con gli attaccanti.

Il portiere, giocatore fondamentale per l’esito della partita, viene scelto in questo modo: quello ritenuto più bravo (il tutto sulla carta e opinabile) va con la squadra ritenuta meno competitiva (anche questo sulla carta e presumibile). Quando ne manca uno o tutti e due, se non c’è nessuno disponibile a giocare in quel ruolo, si va in porta “tutti” a turno; veramente, quasi tutti, perché c’è sempre il “volpino di turno” che cerca di “svicolare” facendo “l’indiano” o, se si preferisce, “l’orecchio da mercante”.

Questa “tradizione del conto” è tuttora in vigore, anche se sono sempre di meno i soci che si prendono la “briga” di formare le due squadre e che riescono a farle “equilibrate”: questo succede perché c’è il rischio di beccarsi a fine partita i rimbrotti di qualche socio scontento di come sono state fatte le due formazioni, magari perché la sua ha perso con punteggio tennistico o, come dicono i Ruspanti, < N’ ha presi ‘na capelata >.

L’arbitro è una figura che da Abete non serviva (si fa per dire), in quanto  tutti i giocatori erano arbitri, erano cioè liberi di chiamare un fallo laterale, una punizione od un rigore, SALVO CHE, i giocatori-arbitri avversari glielo concedessero. E questo è stato spesso motivo di accese discussioni.

Al S. Bartolomeo (il campo ufficiale del G.S.A. Ruspanti dal 1978) avviene come da Abete, ma qui, alcune volte, sono venuti ad arbitrare i soci infortunati. Lo fanno tuttora, ma ci vuole un bel coraggio. Difficilmente hanno diretto più di una-due partite, perché credetemi:  è “dura” (e spesso non ricevono proprio dei complimenti).

 

 

Il testo di questa pagina è stato gentilmente concesso da Luciano Conti che della storia dei ruspanti ha scritto un bellissimo libro